sabato, Aprile 20, 2024
FarmaciVitamina K1, K2 e K3

Vitamina K1, K2 e K3

La definizione vitamina K raggruppa, come del resto avviene nel caso di altre vitamine, una serie di composti liposolubili che condividono la base 2-metil-1,4-naftochinone. La vitamina fu descritta per la prima volta nel 1935 si deve al biologo e fisiologo danese Henrik Carl Peter Dam, che, per tale scoperta, nel 1943 fu insignito del premio Nobel (in condivisione con lo statunitense Edward Adelbert Doisy, al quale si deve la sintesi della molecola) e al quale si deve anche la scelta della lettera K, che sta per Koagulation. Il termine, pertanto, è identificativo della sistema fisiologico con il quale la vitamina è primariamente coinvolta, ovvero il mantenimento dell’attività dei fattori della coagulazione a livello epatico.

Vitamina K: il significato delle diverse forme

La forma vitamina K1 (fillochinone PK, chimicamente 2-metil-3-fitil-1,4-naftochinone) è quella maggiormente presente nella dieta (quantomeno in quella occidentale), essendo presente nei vegetali a foglie verdi, come spinaci, verza e cavolo. Viene assorbita a livello ileale.

La vitamina K2 (menachinoni MKn) comprende molecole differenti (ad esempio MK-6, -7, -8) per il numero di unità isopreniche presenti nella catena laterale, di sintesi batterica. Pertanto, esse vengono prodotte dalla flora intestinale, oltre a essere presenti negli alimenti fermentati (ad esempio i fagioli di soia, molto consumati in paesi come il Giappone). Fa eccezione la MK-4, sintetizzata per conversione dalla PK in tessuti dell’organismo (pancreas, testicolo, parete vascolare).

Da ultima, vitamina K3 (menadione) identifica l’analogo sintetico, privo di catena laterale. Presenta anche un derivato bisolfitico, idrosolubile.

Le due classi principali differiscono per sede di assorbimento: ileo per la vitamina K1, grosso intestino per la K2. In entrambi i casi le molecole fanno ingresso negli enterociti sotto forma di micelle, per poi essere cedute ai tessuti seguendo il ciclo delle lipoproteine a bassa densità (chilomicroni, quindi VLDL e infine LDL).

La vitamina agisce a livello del reticolo endoplasmatico della cellula come coenzima di un enzima deputato alla carbossilazione dell’amminoacido glutammato, processo implicato nell’attivazione di una serie di proteine, denominate appunto vitamina K-dipendenti. Tra queste, le più note sono senza dubbio i fattori VII, IX e X della coagulazione: l’anticoagulante orale più diffuso, il warfarin, agisce come antagonista della vitamina K, bloccandone due passaggi enzimatici del ciclo. Una subunità di uno dei due enzimi può essere usato come marker del metabolismo osseo, essendo il suo polimorfismo correlato con la densità minerale ossea (bone mineral density, BMD). Un ridotto intake risulta collegato a un BMD ridotto (e di conseguenza a un aumentato rischio fratturativo) in donne di tutte le età. La vitamina K sembra avere proprietà osteoinduttive al pari della vitamina D (senza dubbio quella maggiormente coinvolta nel metabolismo osseo). Alcuni studi hanno stabilito gli effetti positivi di una supplementazione dietetica sul rischio di fratture ossee nella fascia di popolazione femminile in età postmenopausale. La ricerca sta facendo luce sui meccanismi alla base di tale effetto: la vitamina K1 agirebbe maggiormente sulla qualità ossea, mentre il dato della BMD sarebbe da correlare alla conversione a MK-4.

Un uso estensivo della vitamina K nel trattamento farmacologico del paziente osteoporotico rappresenta pertanto una prospettiva meritevole di approfondimento scientifico. Attualmente, l’indicazione principale alla supplementazione della vitamina è rappresentata dalle patologie emorragiche (soprattutto neonatali) susseguenti a deficit di fattori della coagulazione vitamina K – dipendenti.

In ultima analisi, si ricordi che la vitamina K costituisce anche l’antidoto dei derivati cumarinici (warfarin, acenocumarolo) e viene pertanto utilizzata nella TAO reversal in caso di emergenze emorragiche susseguenti a intossicazione. Somministrata per via endovenosa, induce una normalizzazione dell’INR nel 45% dei pazienti nel giro 6 ore e praticamente in tutti i casi entro le 24 ore. Non sarà invece efficace sui NAO, non a caso chiamati anche Non-vitamin K oral anticoagulants (NOAC).

Letteratura sulla vitamina K

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5726210/

http://www.ospfe.it/il-professionista/societa-medico-chirurgica/archivio-convegni-2012/fibrillazione-atriale-e-trombosi-venosa-profonda-aspetti-fisiopatologici-clinici-e-terapeutici/Emergenze%20emorragiche%20in%20corso%20di%20terapia%20anticoagulante_quale%20gestione_-Melandri.pdf

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