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SpecialitàortopediaIl razionale dell’innesto osteocondrale

Il razionale dell’innesto osteocondrale

In occasione del convegno di BoneHealth del gennaio 2022, Giacomo Stefani ha riepilogato i tipi di innesto osteocondrale e relativi vantaggi e limiti, con un focus sulll’innesto di tessuto osteocondrale induttivo

L’edema midollare dell’osso (anche edema osseo o bone marrow edema, BME) può condurre a diverse condizioni terminali che richiedono trattamenti. In occasione del convegno di BoneHealth del gennaio 2022 “Edema osseo del ginocchio: strategie terapeutiche“, Giacomo Stefani ha riassunto vantaggi e limiti dell’innesto osteocondrale, focalizzandosi in particolare sugli innesti di tessuto osteocondrale induttivo.

Giacomo Stefani è Responsabile dell’Unità Operativa di Ortopedia e Traumatologia (Sezione II) dell’Istituto Clinico Città di Brescia e Dirigente Teaching Center nazionale SIAGASCOT per la chirurgia del ginocchio.

Trattamento degli esiti dell’edema osseo

Le condizioni terminali delle articolazioni con edema osseo si hanno, in genere, in pazienti che spesso hanno dolore a riposo ma soprattutto con carico e talvolta possono sviluppare osteonecrosi, con esiti molto negativi per la persona. Occorre quindi intervenire; i possibili trattamenti includono:

  • Rigenerazione tissutale;
  • Ricostruzione biologica;
  • Subcondroplastica;
  • Terapia protesica.

Per scegliere la terapia ottimale, occorre considerare diversi aspetti:

  • In primis, età del paziente: se più giovane, si propenderà per terapie riparative, mentre nell’anziano saranno preferibili le protesi;
  • Dimensione della zona necrotica;
  • Eventuali patologie associate, ad esempio in caso di artrosi che coinvolge tutto il ginocchio sarà più indicata una terapia sostitutiva;
  • Eventuale necessità di tempo di risoluzione dell’edema, in caso di trattamenti ricostruttivi.

 

Tipi di innesto osteocondrale

L’innesto osteocondrale ha come obiettivo quello di sostituire il tessuto danneggiato con materiali con caratteristiche strutturali e biologiche il più simili possibile a quelle fisiologiche. Nella zona danneggiata sono presenti cartilagine e osso, con profondità diversa, quindi si potranno usare:

  • Innesti osteocondrali autologi (o autograft);
  • Tecnica allograft (innesti di tessuti da donatore);
  • Innesto di tessuto osteocondrale induttivo, un materiale che ha la capacità di indurre la produzione di tessuto osteocondrale (opzione esistente da circa 13 anni).

 

Innesto osteocondrale autologo

L’innesto osteocondrale autologo, che consiste nel prelevare un innesto dal paziente stesso e trasferirlo in un’altra zona, era l’unico disponibile negli anni Novanta. La mosaicoplastica non consentiva di riempire adeguatamente le zone osteonecrotiche; quindi, si iniziò a prelevare un innesto osteocondrale dalla voluta posteriore del condilo per trasferirla anteriormente. Interventi complessi, anche perché occorreva muovere il paziente e fissare con fili di Kirschner, e che davano risultati poco efficaci.

 

Innesti allograft

Gli innesti allograft sono efficaci, ma si hanno 3 importanti problemi:

  • Il riassorbimento dei tessuti;
  • Trasmissione di alcune malattie;
  • Bassa disponibilità di questi sistemi.

Innesto di tessuto osteocondrale induttivo

Il tessuto osteocondrale induttivo, il MaioRegen, è un materiale modellabile per coprire la zona danneggiata, composto da 3 strati:

  • Quello superiore, il livello condrale, è costituito da collagene;
  • Quello intermedio, il tide-mark, è composto dal 60% di collagene e dal 40% di idrossiapatite;
  • Quello inferiore, la componente ossea (bone gradient), è al 30% collagene e al 70% idrossiapatite.

Quindi, presenta caratteristiche biologiche e strutturali simili a quelle di ossa e cartilagini del complesso osteocondrale. Inoltre, favorisce e guida una rigenerazione progressiva, portando a ricostituire una normale fisiologia dell’articolazione.

In fase chirurgica, si prepara un alloggiamento quadrangolare con profondità di 9 mm: occorre delicatezza per non danneggiare le strutture cartilaginee adiacenti ed è fondamentale che la profondità sia omogenea perché l’operazione riesca al meglio. Quindi, si ritaglia e si impianta MaioRegen, ad appoggiarsi sul tessuto spugnoso sfruttando una colla di fibrina per favorirne l’adesione e poi per fissarlo. Si adatta MaioRegen alla conformazione del sito per ripristinare la continuità anatomica, assicurandosi che lo scaffold sia irrorato, e con gli strumenti si effettuano delle verifiche per assicurarsi che non si dislochi.

 Abbiamo spesso una pastiglia osteocondrale, che magari è già distaccata oppure possiamo distaccare, che dà l’idea della perdita di sostanza, della profondità della lesione, di come dovremo andare a trattare la perdita.

Il tessuto spugnoso a contatto con lo scaffold fa passare all’interno del materiale cellule mesenchimali, portando alla ricolonizzazione della matrice ossea e di quella cartilaginea. Così, si hanno riassorbimento e rimodellamento.

Quando usare il tessuto osteocondrale induttivo?

L’innesto MaioRegen è ideale, perché presenta poche problematiche, ma solo in alcuni casi specifici è possibile sfruttare MaioRegen:

  • Il paziente dev’essere molto giovane, sotto i 55-60 anni;
  • L’edema osseo dev’essere risolto, perché è incompatibile con l’efficacia dello scaffold.

Quasi sempre, i pazienti sono anziani, con patologie associate che rendono gli esiti scarsi. Il gruppo del Dottor Stefani ha trattato 7 pazienti in 13 anni, con buoni esiti a distanza di 5 anni dall’operazione in 3 pazienti. I risultati sono brillanti nell’osteocondrite giovanile e nelle forme traumatiche, ma difficilmente in altri casi, soprattutto dove sono presenti edema osseo o patologie associate.

Da 5 anni non utilizziamo più questa tecnica perché ritengo che abbia molte limitazioni, quindi se capita un paziente con questo tipo di problematica dobbiamo risolverla in un altro modo.

Fonte: convegno BoneHealth 22 gennaio 2022

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