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Osteoporosi primaria idiopatica e genetica

L’osteoporosi, per la sua diffusione e il grave impatto sulla qualità di vita, è considerata una malattia sociale. Si presenta soprattutto nelle persone oltre i 50 anni, ma anche nelle altre fasce d’età, dove è più difficilmente diagnosticata. La situazione è complicata dall’impossibilità di individuare le cause di alcuni tipi di osteoporosi. Migliorarne la conoscenza sarebbe di aiuto per implementare le possibilità di diagnosi e trattamento di questa patologia. Per comprendere le cause dell’osteoporosi idiopatica, Rouleau e colleghi hanno indagato e descritto gli aspetti funzionali, la genetica molecolare e le caratteristiche ossee in uno studio di coorte monocentrico. I ricercatori hanno individuato possibili associazioni tra osteoporosi primaria idiopatica e genetica.

 

Osteoporosi primaria idiopatica e genetica

L’osteoporosi consiste in una riduzione della massa ossea (bone mineral density, BMD) o in un’alterata microarchitettura del tessuto osseo che porta a un aumentato rischio di fratture. Colpisce soprattutto le persone sopra i 50 anni, in cui le fratture da fragilità si manifestano con T-score inferiore a -2,5 a livello di anca o rachide lombare; per questa ragione, la diagnosi di osteoporosi si basa su questo valore. È sempre più riconosciuta anche in bambini e adolescenti, nei quali questo fattore è poco chiaro, dal momento che le fratture si possono presentare con un BMD normale; quindi, in queste fasce d’età la diagnosi si basa sui sintomi patologici, come la presenza di fratture vertebrali senza traumi importanti. La diagnosi negli adulti tra i 20 e i 50 anni è ancora poco definita.

Le cause dell’osteoporosi sono complesse. Studi su gemelli hanno mostrato che i fattori genetici potrebbero comportare fino all’80% della variazione della massa ossea tra diversi individui. Inoltre, alcune forme di osteoporosi idiopatica giovanile e di early onset osteoporosis sembrano essere associate a varianti genetiche; in particolare, i geni più frequenti risultano essere LRP5, WNT1 e COL1A1/2. Indagare sulla genetica, quindi, potrebbe aiutare a capire e affrontare meglio l’osteoporosi primaria idiopatica.

 

La ricerca

Lo studio ha incluso pazienti con diagnosi di osteoporosi primaria idiopatica del periodo 2014-2020 dell’unità malattie ossee rare del Centro Ospedaliero Universitario di Tolosa. Tali pazienti sono stati sottoposti a pannelli genetici per fragilità ossea e sono stati esclusi i casi con caratteristiche imputabili a osteogenesi imperfetta e altre sindromi associate a osteoporosi; quindi, il campione finale ha incluso 66 pazienti: 19 minorenni, di cui il 63% maschi, e 47 adulti, per il 66% donne.

Quindi, tramite indagine retrospettiva i ricercatori hanno raccolto i seguenti dati:

  • Storia familiare e personale di fratture e osteoporosi;
  • Parametri di omeostasi minerale prima dei trattamenti (calcio, fosfato, fosfatasi alcalina, 25-OHD, CTX da analisi del sangue);
  • Marker di formazione e riassorbimento osseo prima delle terapie;
  • Densità minerale ossea del corpo esclusa la testa (TB-BMD), a livello di rachide lombare (LS-BMD) e a livello dell’anca in toto (TH-BMD) con assorbimetria a raggi X a doppio livello di energia (DXA).

In seguito alle analisi statistiche, nell’11% del campione è emersa una variante sul gene LRP5 e il 27% dei pazienti ha mostrato varianti genetiche patogeniche in eterozigosi (principalmente a livello dei geni LRP5, WNT1 e COL1A1). Non sono emerse differenze significative tra le caratteristiche cliniche, radiologiche e biologiche relativamente al genotipo né fra i due sessi.

Bambini e adolescenti (<18 anni d’età) sono risultati avere meno fratture vertebrali (26% vs 57%, p = 0.022) e più fratture periferiche (84% vs 53%; p = 0.019); il 26% di loro presentava una storia familiare a basso rischio di fratture traumatiche. Il Z-score del LS-BMD è risultato significativamente più basso di quello del TB-BMD (−2.1 vs −1.5; p = 0.003). Le mutazioni patologiche sono risultate essere doppiamente frequenti tra i ragazzi che tra gli adulti, ma in modo non statisticamente significativo.

L’analisi di regressione ha mostrato un’associazione significativa negativa tra l’età al referral e i valori di LS-BMD (r = -0,309, p = 0,005) e un’associazione significativa positiva tra l’età al referral e l’età alla prima frattura (r = 0,776, p <0,0001).

 

Conclusioni

Lo studio di Rouleau e colleghi riporta le principali caratteristiche di adulti e bambini con osteoporosi primaria idiopatica. Nonostante il campione sia tra i più ampi mai considerati, data la rarità della malattia i soggetti inclusi sono pochi per trarre risultati conclusivi; inoltre, a causa della natura retrospettiva dello studio non è stato possibile considerare importanti predittori della massa ossea, come attività fisica e assunzione di calcio. Tuttavia, la ricerca ha individuato una variante patogena nel gene LRP5 (Val667Met) nella metà del gruppo bambini e adolescenti e nell’80% di quelli con almeno una frattura vertebrale. Quindi, le analisi genetiche per fragilità ossea potrebbero costituire un elemento utile per la consulenza genetica e la gestione delle persone con osteoporosi primaria idiopatica.

Fonte:

Rouleau C, Malorie M, Collet C, Porquet-Bordes V, Gennero I, Eddiry S, Laroche M, Salles JP, Couture G, Edouard T. Diagnostic yield of bone fragility gene panel sequencing in children and young adults referred for idiopathic primary osteoporosis at a single regional reference centre. Bone Rep. 2022 Feb 23;16:101176. doi: 10.1016/j.bonr.2022.101176. PMID: 35252483; PMCID: PMC8892094.

 

Terapia combinata e sequenziale nell’osteoporosi post-menopausale

Nel video, il dott. Guabello descrive le opportunità di utilizzo di terapie combinate e sequenziali nel trattamento dell’osteoporosi post-menopausale, con un focus sul farmaco dual-acting romosozumab.

La specialità medicinale, commercializzata con il nome di Evenity, era stata inserita, con determina del 12 gennaio 2022, in fascia C e quindi non rimborsata dal Ssn.

Ai fini della fornitura, romosozumab è classificato come medicinale soggetto a prescrizione medica limitativa, vendibile al pubblico su prescrizione di centri ospedalieri o di specialisti – internista, reumatologo, endocrinologo, ginecologo, geriatra, ortopedico, fisiatra, nefrologo
(RRL).

Aggiornamento

La rimborsabilità dell’anticorpo monoclonale romosozumab, sviluppato dalla belga Ucb in collaborazione con l’americana Amgen, è stata approvata da Aifa a novembre 2022.

Edema osseo del ginocchio, il video

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Nel video i principali momenti del convegno di BoneHealth “Edema osseo del ginocchio: strategie terapeutiche“.
Organizzato da Makinglife, con il patrocinio di Siagascot, Società italiana artroscopia, ginocchio, arto superiore, sport, cartilagine e tecnologie ortopediche, presieduto da Giuseppe Peretti e Nicola Ursino e con la direzione scientifica di Laura Mangiavini e Federico Valli, il convegno ha visto la partecipazione di oltre 500 professionisti che hanno potuto seguire l’evento in sala o in streeming.

 

Evento realizzato con il contributo non condizionante di:

Fidia Pharma

IGEA clinical biophysics

IP Distribution

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Sindromi da edema midollare dell’osso

L’edema midollare dell’osso, anche noto come edema osseo o bone marrow edema (BME), può essere osservato in diversi disturbi, che si possono anche incontrare nella pratica clinica quotidiana. Saperlo identificare e differenziare a seconda della patologia è fondamentale per un approccio terapeutico corretto.

In occasione del convegno di BoneHealthEdema osseo del ginocchio: strategie terapeutiche“, tenutosi il 22 gennaio 2022, ha introdotto il tema Laura Rotunno, Chirurga Specialista in Reumatologia con larga esperienza nell’ambito dell’artrite reumatoide e delle spondiloartriti, maturata presso l’Istituto Ortopedico Gaetano Pini di Milano. La Dottoressa, che attualmente collabora come libera professionista con l’ambulatorio di Reumatologia dell’ospedale di Vimercate, ha ripercorso i principali aspetti dell’edema midollare dell’osso e delle patologie che lo presentano.

Cos’è l’edema midollare dell’osso

L’edema midollare dell’osso consiste in un accumulo di liquido all’interno di una struttura ossea, che causa un’elevata pressione intraossea. La fisiopatologia è molto dibattuta, ma è certo che si ha un’aumentata permeabilità capillare, che può dipendere da:

  • trauma meccanico;
  • aumentato flusso sanguigno a livello midollare, perché aumenta la pressione intramidollare e comporta un alterato drenaggio vascolare;
  • infiammazione, a causa del rilascio di citochine proinfiammatorie.

Ne deriva un accumulo di liquidi, che conduce a infiammazione, fibrosi o necrosi. Dal punto di vista radiologico, la presenza di BME comporta un’alterazione del segnale che ha bassa-media intensità nelle sequenze T1 e T2-STIR e più alta nelle sequenze T3. Anche se probabilmente l’alterazione del segnale osservata alla RMN è correlata alla sostituzione del tessuto midollare da parte di una sostanza più ricca d’acqua, nella maggior parte dei campioni istologici non vi è edema dei tessuti. Invece, compaiono:

Patologie caratterizzate da edema osseo

Le patologie con edema midollare dell’osso sono sempre caratterizzate dal dolore, che risulta tanto più forte quanto più è estesa la lesione (diversamente, ad esempio, da sinovite e osteofiti). Tuttavia, presentano differenze significative per quanto riguarda reperti istopatologici, meccanismi causali e prognosi. Includono:

  • traumi;
  • fratture;
  • osteoporosi transitoria dell’anca e osteoporosi regionale migrante;
  • patologie articolari degenerative, quali artrosi, artropatia di Charcot e alcuni tipi di neuropatie croniche;
  • patologie infiammatorie quali artrite reumatoide, artropatia psoriasica e spondiloartriti;
  • patologie vascolari come sindrome dolorosa regionale complessa (CRPS), necrosi avascolare e anemia falciforme;
  • artriti settiche e osteomieliti;
  • gotta e condrocalcinosi;
  • alcune patologie iatrogene (da chirurgia ossea o radioterapia);
  • alcuni tipi di patologie neoplastiche (tumori alle ossa di tipo primario).

Saper differenziare tra le diverse malattie consente di avere l’approccio corretto.

Edema osseo e artrite reumatoide

In caso l’edema midollare dell’osso sia associato ad artrite reumatoide, a livello articolare si osservano lesioni del BME, soprattutto a livello di polso, metacarpo falangeo e metatarso falangeo nei casi precoci: sedi elettive per le erosioni ossee nell’artrite reumatoide. Dagli studi istopatologici risulta che a livello di queste lesioni sono presenti infiltrati infiammatori costituiti da elevata vascolarizzazione, linfociti e osteite attiva. La presenza di BME a livello di osso subcondrale negli stadi precoci di malattia hanno un valore prognostico negativo, verso lo sviluppo di erosioni. Secondo lo studio di Hetland e colleghi pubblicato nel 2009, l’edema del midollo osseo sarebbe il principale predittore radiografico di erosione, come risulta dalle analisi istopatologiche.

Edema osseo e spondiloartrite

In caso di spondiloartrite, i BME a livello spinale e delle articolazioni sacroiliache sono dirette evidenze di infiammazioni, soprattutto negli stadi precoci della malattia; possono comparire anche diversi anni prima del danno strutturale. Le lesioni infiammatorie a livello della colonna vertebrale, tipicamente angolari, visibili alla risonanza magnetica nucleare risultano essere un fattore predittivo per lo sviluppo di sindesmofiti nella spondilite anchilosante. Anche in caso di entesite gli edemi ossei sono indicativi. Per queste ragioni, si tratta di importanti indizi clinici.

 

Edema osseo e sindrome algodistrofica

Nella sindrome algodistrofica il BME non è considerato molto patognomonico perché non possiede requisiti di sensibilità e specificità. La sindrome è caratterizzata da dolore soprattutto a livello di mano e piede, gonfiore, alterazioni sensitive e vasomotorie e deficit funzionale. Nella forma CRPS-II è secondaria a una lesione nota di un ramo nervoso, mentre quella di tipo CRPS-I può derivare da:

  • danni del tessuto periferico (traumi, fratture ossee, chirurgia ortopedica, distorsioni, immobilizzazione, trombosi venosa profonda);
  • lesioni viscerali profonde, anche se con minore frequenza se si ha corretta riabilitazione (infarto del miocardio, lesioni del SNC, patologie addominali, impianto di pacemaker);
  • farmaci quali anticonvulsivanti e isoniazide.

Negli anni sono stati identificati i meccanismi che scatenano o mantengono la flogosi. Risulta importante il ruolo di sostanza P e CGRP, che insieme all’aumento di vasodilatazione, permeabilità capillare e cellule proinfiammatorie comportano gonfiore, eritrosi e calore. Successivamente compaiono ipossia tissutale e acidosi, con aumento di radicali liberi, portando ad allodinia e iperalgesia, tipiche dell’algodistrofia. Nel microcircolo può risultare un danno endoteliale, con aumento di endotelina I e riduzione di ossido nitrico con conseguente vasocostrizione e riduzione del termotatto.

I criteri diagnostici dell’algodistrofia, risalenti al 2007, sono clinici; non menzionano tecniche radiologiche, che però possono essere di aiuto nei casi di difficile interpretazione. Ad esempio, la scintigrafia è utile nella valutazione dell’attività di malattia, soprattutto nelle forme con diagnosi tardiva, dove può indirizzare il trattamento. La risonanza può mostrare alterati segnali a livello osseo solo negli stadi precoci della malattia.

L’unica classe di farmaci che ha mostrato efficacia negli studi sono i bisfosfonati, che non agirebbero tramite l’inibizione degli osteoclasti, non contemplati nella patogenesi dell’algodistrofia. Potrebbero, invece, ridurre la produzione di citochine proinfiammatorie, alterare il metabolismo anaerobio e inibire l’NGF (mediatore che attiva mediatori della patogenesi). A partire dal 1997, sono stati studiati diversi bisfosfonati, ma l’unico approvato è il neridronato endovena, grazie a uno studio randomizzato contro placebo in doppio cieco del 2013 (Varenna et al., 2013). Lo stesso gruppo di ricerca ha indagato l’efficacia della somministrazione per via intramuscolare nel 2021, ottenendo significative riduzioni del dolore e delle caratteristiche cliniche, anche se questa formulazione è ancora off label.

 Sindromi da edema midollare dell’osso

Le bone marrow edema syndromes (BMES) sono condizioni cliniche caratterizzate da BME con decorso autolimitantesi. Nella maggior parte dei casi interessano le gambe. Includono:

  • osteoporosi transitoria dell’anca (TOH), patologia rara a insorgenza spontanea. Caratterizzata da coxalgia invalidante e osteopenia dell’epifisi prossimale del femore, è quasi sempre monolaterale (95% dei casi) e generalmente si risolve in 6-24 mesi. L’eziologia è ignota, anche se talvolta si verifica in seguito a stress meccanici anomali ed eccessivi (5-10%). Colpisce soprattutto uomini tra i 30 e i 50 anni e donne in gravidanza. La risonanza magnetica è utilissima, in quanto, mostrando un BME che interessa la testa del femore (e spesso anche il collo, fino al livello intertrocanterico) consente una diagnosi precoce della malattia.
  • osteoporosi regionale migrante (RMO), che consiste in episodi dolorosi delle articolazioni sottoposte a carichi che si risolvono in 6-12 mesi e, caratteristicamente, dopo qualche tempo ricompaiono in sedi articolari differenti. Colpisce soprattutto anca, ginocchio e caviglia e ha eziologia ignota, anche se in letteratura è suggerito un innesco da microfratture epifisarie (compare generalmente in uomini senza fattori predisponenti). La risonanza è sensibile e nel tempo può mostrare chiaramente la migrazione della RMO.
  • Forme di edema osseo post-traumatiche.

A oggi non esiste un trattamento per le BEMS: si consiglia di tenere l’articolazione in scarico e si prescrivono analgesici. Vi sono studi promettenti che esaminano l’efficacia dei bisfosfonati parenterali (e, talvolta, orali), ma non prevedono gruppi di controllo. È in corso uno studio randomizzato e controllato contro placebo con Neridronato 100 mg EV (4 infusioni) nel trattamento dell’osteoporosi transitoria dell’anca.

 

Il BME è frequentemente presente in diverse condizioni cliniche che s’incontrano nella pratica clinica quotidiana. Questo pattern radiologico, però, può sottendere differenti patologie, con il proprio significato patogenetico e prognostico: saper differenziare le varie malattie caratterizzate dall’edema osseo permette di scegliere l’approccio terapeutico corretto

Fonte: convegno BoneHealth 22 gennaio 2022

 

Trattamento del cancro e delle metastasi ossee durante il Covid

La gestione ottimale dei pazienti con cancro durante la pandemia di Covid-19 si è rivelata estremamente impegnativa. Medici e autorità ospedaliere hanno dovuto bilanciare i rischi per i pazienti ricoverati in ospedale, molti dei quali sono particolarmente vulnerabili, con i rischi di ritardare o modificare il trattamento del cancro.

Tra coloro che hanno subito un impatto significativo nelle cure, figurano i pazienti che soffrono degli effetti del cancro sull’osso, a cui spesso non è stato possibile fornire il consueto standard di cura per il supporto osseo e i medici sono stati costretti a cercare opzioni alternative per una gestione adeguata.

Già nel luglio 2020, in un incontro virtuale della Cancer and Bone Society, un gruppo di esperti ha condiviso esperienze e proposto soluzioni a questa sfida e hanno predisposto un questionario per i partecipanti al simposio, per esplorare i problemi affrontati e le soluzioni offerte.

Soluzioni di gestione del cancro alle ossa in epoca Covid

Un’analisi dei risultati è stata poi presentata sul Journal of Bone Oncology.

I 70 intervistati, provenienti da nove paesi, hanno incluso 50 medici, distribuiti in una vasta gamma di specialità (ma con un’alta percentuale, il 64%, di oncologi medici) e 20 operatori di laboratorio.

Lo studio ha mostrato che, nella gestione della malattia ossea metastatica in tutti i tipi di tumore solido e nel mieloma, la terapia adiuvante del cancro al seno con bifosfonati e la perdita ossea indotta dal trattamento del cancro hanno subito un grave impatto. Gli intervistati hanno segnalato ritardi:

  • nelle Tac di routine (58%)
  • nelle scansioni ossee standard (48%)
  • nelle risonanze magnetiche (46%), sebbene le scansioni di emergenza siano state meno colpite
  • nella radioterapia palliativa per il dolore osseo (31%)
  • nella chirurgia profilattica per il dolore osseo (35%).

L’accesso ai trattamenti con bifosfonati per via endovenosa e con denosumab per via sottocutanea è stato un grave problema, mitigato dalla somministrazione di farmaci a domicilio o in una clinica locale, dalla ridotta frequenza di somministrazione o dal passaggio a bifosfonati orali assunti a casa.

Il questionario ha anche rivelato ritardi o l’interruzione completa della ricerca, sia clinica che di laboratorio.

Fonte:

Brown JE, Wood SL, Confavreux C, et al. Management of bone metastasis and cancer treatment-induced bone loss during the COVID-19 pandemic: An international perspective and recommendations. J Bone Oncol. 2021 Aug;29:100375.

Linfoma: alendronato nella profilassi contro l’osteoporosi indotta

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L’alendronato è un farmaco bifosfonato già usato nel trattamento dell’osteoporosi e in altre patologie caratterizzate da perdita di densità ossea.

I glucocorticoidi invece sono farmaci inclusi nella maggior parte delle terapie contro il linfoma, ma è anche noto come questi inibiscano la vascolarità e la formazione di tessuto osseo, con conseguente diminuzione di , e aumento del rischio di osteoporosi e fratture.

Questo comporta un notevole abbassamento della qualità della vita del paziente oncologico anche nel lungo periodo, condizione di cui è necessario occuparsi andando oltre le terapie specifiche, con un approccio maggiormente olistico.

Lo studio SIESTA ha avuto come scopo quello di determinare se l’alendronato orale fosse una profilassi sicura contro l’osteoporosi indotta da glucocorticoidi in pazienti affetti da linfoma.

Uno studio di fase due a centro singolo e in doppio cieco

A pazienti affetti da linfoma in trattamento con glucocorticoidi, dopo la randomizzazione, sono stati somministrati 70 mg di alendronato settimanale (o placebo), per un totale di 52 settimane. I pazienti, di età maggiore di 18 anni e con prospettiva di vita maggiore di 2 anni, hanno tutti ricevuto anche giornalmente un supplemento di calcio e di vitamina D.

Lo studio è stato condotto in doppio cieco e a centro singolo nel dipartimento di ematologia all’ospedale universitario di Aalborg, in Danimarca.

La densità minerale ossea è stata valutata come punteggio T al basale, dopo la fine della chemioterapia (4-6 mesi) e dopo la fine dello studio (12 mesi). Lo stesso è stato fatto per la frattura vertebrale e per gli altri biomarcatori.

I pazienti analizzati sono stati per il 75% uomini, con un’età media di 66 anni per chi ha ricevuto l’alendronato e 65 per il ramo placebo. In tutto sono stati analizzati 47 pazienti (24 placebo e 23 alendronato) alla fine dello studio, su 59 arruolati inizialmente.

I risultati

La variazione media del punteggio T dopo i 12 mesi è risultato essere +0,5 per i pazienti randomizzati con alendronato e -0,12 per i placebo (con P=0,90). Questa variazione è risultata inoltre essere maggiore per le donne (0,28 Alendronato, -0,28 placebo) che per gli uomini (0,10 Alendronato, -0,07 placebo).

Questi risultati sono in accordo con quanto lo studio si proponeva di dimostrare: infatti i pazienti trattati con placebo hanno mostrato un abbassamento della densità minerale ossea maggiore rispetto ai pazienti trattati con alendronato e anche biomarcatori come il CTX hanno supportato questi risultati, avendo avuto una decrescita durante il periodo di 12 mesi nel gruppo trattato con alendronato.

Gli effetti protettivi sono stati invece assenti a livello dell’anca e del collo femorale, non essendoci stata una significativa differenza nella perdita minerale ossea fra i due gruppi.

Conclusione

La somministrazione di alendronato orale sembra essere una profilassi efficace e sicura nel ridurre la perdita di densità ossea nei pazienti trattati per il linfoma con glucocorticoidi, in particolare nelle donne. Anche l’analisi dei biomarcatori sembra confermare un effetto positivo dell’Alendronato.

Saranno necessari nuovi studi più ampi e con un follow-up più lungo sia per confermare questi risultati, che per determinare se questo beneficio si traduce in un effettivo minor rischio di fratture in questi pazienti e una migliore qualità della vita.

 

Fonte:

Jensen P, Hjort Jakobsen LH, Bøgsted M, Baech J, Lykkeboe S, Severinsen MT, Vestergaard P, El Galaly TC. A randomised trial of alendronate as prophylaxis against loss in bone mineral density following lymphoma treatment. Blood Adv. 2022 Jan 19:bloodadvances.2021006330.

 

 

 

 

CKD-MBD e fragilità scheletrica

La CKD-MBD (Chronic Kidney Disease-Mineral and Bone Disorder) è un disordine sistemico del metabolismo minerale del paziente nefropatico cronico.

Scaricando il MakingPaper “CKD-MBD e fragilità scheletrica” a cura di Gregorio Guabello potrai conoscere:

  • Quali sono le linee guida che forniscono raccomandazioni per la diagnosi, la valutazione, la prevenzione e il trattamento dell’osteodistrofia renale (CKD-MBD);
  • Quali sono i fattori di rischio da valutare;
  • Quali sono le terapie più opportune dell’osteodistrofia renale nei suoi diversi stadi.

Verso terapie specifiche per l’osteogenesi imperfetta

L’osteoporosi può derivare sia da cause genetiche, prendendo il nome di osteoporosi primaria, sia da altre patologie, nel qual caso si parla di osteoporosi secondaria. L’osteogenesi imperfetta costituisce la maggioranza dei casi di osteoporosi primaria. Conoscerne i meccanismi di base consente di produrre trattamenti più mirati ed efficaci e anche terapie per altre forme di osteopenia. Con questi obiettivi, El-Gazzar e Högler hanno recentemente realizzato una metanalisi che racchiude le più recenti conoscenze sulla genetica dell’osteogenesi imperfetta.

L’osteogenesi imperfetta

L’osteogenesi imperfetta (OI, osteogenesis imperfecta) è un gruppo di osteoporosi primarie con un’incidenza tra i 10mila e i 20mila nati vivi. È dovuta ad alterazioni del DNA che comportano un’alterazione del collagene, per cui chi ne è colpito presenta un’inferiore massa ossea e una maggiore mineralizzazione delle ossa. In conseguenza di questi difetti genetici, la persona avrà:

  • Fragilità ossea, con maggiore probabilità di fratture, soprattutto durante l’infanzia;
  • Deformità dello scheletro;
  • Dentinogenesi imperfetta;
  • Lassità articolare;
  • Ipoacusia;
  • Ipoplasia polmonare;
  • Sclere bluastre.

Tra i meccanismi fisiologici che causano l’OI, stanno emergendo i ruoli dei microRNA (miRNA) e di nuove proteine coinvolte nella sintesi del collagene.

Verso terapie specifiche per l’osteogenesi imperfetta

Attualmente, non esistono trattamenti specifici per l’osteogenesi imperfetta: l’approccio più sfruttato prevede una combinazione di terapia anti-riassorbimento, fisioterapia intensiva e attività fisica. Gran parte delle fratture derivanti dall’OI può essere risolta tramite chirurgia.

Il neridronato rimane la terapia farmacologica standard. Tramite la soppressione del riassorbimento degli osteoclasti, ripristina un turnover osseo equilibrato, portando all’aumento della massa ossea e, secondo parte degli studi sul tema, a una conseguente riduzione del tasso di fratture.

Grazie alle ricerche sull’origine genetica e sui meccanismi fisiologici coinvolti nell’osteogenesi imperfetta, i ricercatori stanno indagando terapie mirate per trattarla. Tra i potenziali nuovi trattamenti vi sono:

  • denosumab, attualmente indagato in studi clinici;
  • Scl-AB, anticorpi anti-sclerostina, in studi preclinici;
  • trapianto di MSC prima e dopo la nascita, in uno studio clinico multicentrico;
  • l’uso di miRNA.

Anche se presentano alcune limitazioni, queste ricerche sono promettenti e aprono la strada a nuovi approcci all’osteogenesi imperfetta.

Fonti:

Osteonecrosi dei mascellari farmacorelata, parla Tiziano Testori

In questa videointervista per BoneHealth, Tiziano Testori, tra i massimi esperti in materia, parla dell’osteonecrosi dei mascellari farmacorelata tra mito e realtà. Approfondendo la patologia e le cause, risponde a domande sulla corretta diagnosi, sulle terapie e sull’importante ruolo del medico nell’individuare e gestire l’osteonecrosi.

Abbiamo ideato un percorso razionale per la valutazione osteometabolica del paziente che deve essere sottoposto a terapie odontoiatriche. In queste pubblicazioni abbiamo illustrato in dettaglio il percorso che deve essere seguito dall’odontoiatra, il limite a cui può giungere, quando è opportuno che si arresti e indirizzi il paziente allo specialista per una diagnosi più approfondita e per la definizione della terapia. Ritengo questi lavori scientifici fondamentali per curare in modo professionale ed etico un paziente: l’odontoiatra attraverso domande specifiche effettua uno screening iniziale del paziente e quando ravvede la presenza di comorbilità o di terapie prolungate nel tempo o con farmaci di cui non conosce appieno la farmacodinamica, è opportuno che invii il paziente a uno specialista per una valutazione più approfondita.

Tiziano Testori

Tiziano Testori è medico chirurgo al Centro odontoiatrico universitario dell’IRCCS Istituto ortopedico Galeazzi presso il quale è anche responsabile del Reparto di implantologia e
riabilitazione orale della Clinica odontoiatrica. Inoltre, è professore a contratto in “Tecniche chirurgiche implantari” presso l’Università degli studi di Milano e Adjunct clinical associate professor, Department of periodontics and oral medicine della University of Michigan.

 

Osteoporosi secondaria

L’osteoporosi deriva dalla riduzione della massa ossea o da difetti nella composizione o mineralizzazione della matrice. I meccanismi alla base di questi disturbi possono essere molteplici e derivare sia da cause genetiche (osteoporosi primaria) sia da cause acquisite (osteoporosi secondaria).

L’osteoporosi secondaria è la più comune, ma la sua diagnosi e la sua terapia sono spesso inadeguate, risultando in trattamenti insoddisfacenti. Una recente review redatta da El-Gazzar e colleghi riassume le cause dell’osteoporosi secondaria, per portare a una migliore consapevolezza e a un miglior trattamento della malattia nonché alla possibilità di individuare terapie mirate.

L’osteoporosi secondaria

L’osteoporosi è una malattia cronica che comporta fragilità ossea. Ha una forte rilevanza sociale, in quanto colpisce oltre 200 milioni di persone, causando oltre 1,6 milioni di fratture ossee ogni anno.

Si parla di osteoporosi primaria se dovuta a una patologia genetica e di osteoporosi secondaria se acquisita in conseguenza di altre patologie o farmaci, fattori che comportano difetti in:

L’osteoporosi secondaria è la forma più diffusa di osteoporosi, poiché colpisce:

  • oltre il 50% delle donne in premenopausa;
  • fino al 30% delle donne in postmenopausa;
  • tra il 50% e l’80% degli uomini.

Tuttavia, spesso non è identificata appieno, per cui le terapie risultano inadeguate. È fondamentale, invece, individuare correttamente le cause della malattia perché trattare le condizioni sottostanti può risultare determinante per il successo della terapia. Inoltre, conoscere le cause della patologia consente di stimare correttamente il rischio di frattura, con una migliore possibilità di prevenzione del problema.

Cause dell’osteoporosi secondaria

Per applicare la migliore terapia per osteoporosi possibile, è importante comprendere appieno la causa della patologia. Peraltro, alcuni aspetti relativi ai trattamenti specifici sono ancora da approfondire.

I meccanismi a cui si deve l’osteoporosi secondaria sono essenzialmente tre.

  • Nell’osteoporosi da immobilità, il meccanismo di rilevamento biomeccanico degli osteociti riduce la massa ossea. La carenza di mobilità comporta una mancanza di tensione muscolare, che si traduce in una riduzione del carico osseo perché gli osteociti (che costituiscono più del 90% di tutte le cellule ossee) formano una rete di cellule sensoriali. Le forze meccaniche, alterando il flusso del fluido canalicolare, attivano la cascata di segnalazione ERK: in questo modo, riducono l’apoptosi degli osteociti. L’immobilità, al contrario, induce l’apoptosi degli osteociti. Non sono completamente noti i meccanismi molecolari coinvolti in questo processo, anche se è noto che gli osteociti sono i principali produttori di sclerostina e altre proteine di segnalazione. Dove possibile, una terapia specifica dovrebbe prevedere attività fisica mirata oppure l’uso di vibrazioni meccano sonore (terapia Viss).
  • In caso di alcune forme di cancro o infiammazioni, l’osteoporosi è indotta dalle citochine. Queste attivano il riassorbimento osseo e il sistema RANKL-RANK, che promuove la differenziazione di preosteoclasti in osteoclasti. A questi fattori possono sommarsi altre cause. Il recettore OPG (osteoprotegerina), che compete con RANKL per legare il recettore RANK, è indotto da estrogeni, quindi diminuisce in caso di livelli ridotti di questi ormoni, come nelle donne il postmenopausa. Recentemente è stato individuato un nuovo recettore per RANKL, LGR4, che regola negativamente la differenziazione degli osteoclasti. Inoltre, le cellule tumorali possono indurre l’espressione di RANKL tramite l’espressione di fattori di crescita. In questi casi è indicato l’uso di denosumab.
  • L’osteoporosi indotta da steroidi o glucocorticoidi. I cortisonici, prescritti per alcune malattie infiammatorie e immunitarie, aumentano l’osteoclastogenesi in diverse modalità. Hanno effetti diretti in quanto alterano la funzionalità e riducono il numero degli osteoblasti, aumentano l’espressione di RANKL e dell’M-CSF, diminuiscono l’espressione dell’OPG. Inoltre, comportano effetti indiretti perché diminuiscono la sintesi di steroidi sessuali, inibiscono IGF-1 e riducono la massa muscolare e l’assorbimento del calcio. Per quanto riguarda il trattamento, sono stati sperimentati numerosi farmaci antiosteoporotici, ma hanno limitazioni relativamente alla generalizzabilità e agli endpoint di frattura.

Fonti:

El-Gazzar A, Högler W. Mechanisms of Bone Fragility: From Osteogenesis Imperfecta to Secondary Osteoporosis. Int J Mol Sci. 2021 Jan 10;22(2):625. doi: 10.3390/ijms22020625. PMID: 33435159; PMCID: PMC7826666.

Ebeling PR, Nguyen HH, Aleksova J, Vincent AJ, Wong P, Milat F. Secondary Osteoporosis. Endocrine Rev. 2021, bnab028, doi: 10.1210/endrev/bnab028.

Adami G, Rahn EJ, Saag KG. Glucocorticoid-induced osteoporosis: From clinical trials to clinical practice. Ther Adv Musculoskelet Dis. 2019;11:1759720X19876468. doi: 10.1177/1759720X19876468

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