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Rischi sesso-specifici dell’osteoporosi

L’osteoporosi colpisce prevalentemente le donne, per cui le ricerche si focalizzano maggiormente su campioni di popolazione femminili. Un gruppo di ricerca guidato da Celis-Morales ha recentemente indagato l’associazione tra osteoporosi e altre condizioni, quali malattie cardiovascolari, patologie respiratorie, cancro e mortalità, nei due sessi. Dallo studio, pubblicato su Mayo Clinic Proceedings, ha quindi consentito per la prima volta di valutare i rischi sesso-specifici dell’osteoporosi.

 

Osteoporosi nei due sessi

L’osteoporosi è un disturbo sistemico caratterizzato da una bassa densità minerale ossea (BMD), considerata un grave problema di sanità pubblica perché aumenta il rischio di fratture e altre condizioni, compromettendo la qualità della vita di chi ne è affetto, e mortalità. A causa di fattori ormonali, questa patologia è 6 volte più frequente nelle donne che negli uomini, motivo per cui negli anni i ricercatori hanno indagato il fenomeno soprattutto nella popolazione femminile.

Rodríguez-Gomez, Gray e colleghi hanno indagato l’associazione dell’osteoporosi con altre patologie nei due sessi, per poter meglio indirizzare prevenzione e terapie.

 

Lo studio

I ricercatori hanno incluso, a partire dal database dello studio britannico di coorte UK Biobank (2007-2010), 305072 pazienti che avevano autodichiarato di avere una diagnosi di osteoporosi. Il campione includeva persone tra i 37 e i 73 anni d’età ed era costituito per la maggior parte da donne (53%, 161383).

Il gruppo di ricerca ha quindi analizzato, tramite regressione di Cox per i rischi proporzionali, le associazioni fra osteoporosi e outcome quali:

  • malattie cardiovascolari;
  • malattie respiratorie;
  • broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO o COPD, chronic obstructive pulmonary disease);
  • cancro alla prostata;
  • cancro alla mammella;
  • tutte le forme di cancro;
  • mortalità;
  • mortalità per tutte le cause.

Nell’analisi ha considerato anche potenziali fattori confondenti, quali:

 

Rischi sesso-specifici dell’osteoporosi

Negli uomini, l’osteoporosi è risultata essere associata a una maggiore incidenza di malattie respiratorie, inclusa la BPCO, e a una maggiore mortalità per tutte le cause (+71% rispetto a uomini senza osteoporosi), per malattie cardiovascolari (+68%) e respiratorie (1,82 volte tanto) e BPCO (3,64 volte tanto). Nelle donne, l’osteoporosi è emersa essere correlata a una maggiore incidenza di malattie cardiovascolari (+24% rispetto alle donne sane), malattie respiratorie (1,23 volte tanto) e BPCO (1,29 volte tanto) e cancro al seno (+60%).

Quindi, l’osteoporosi sembra comportare maggiori rischi di complicanze e mortalità per tutte le cause (+55%) e malattie respiratorie (+69%) negli uomini che nelle donne, anche se è fortemente associata a malattie respiratorie (inclusa la BPCO) in entrambi i sessi. In particolare, negli uomini si osserva un maggiore rischio di cancro e mortalità per tutte le cause, per malattie respiratorie (inclusa la BPCO).

Questi risultati suggeriscono che, soprattutto negli uomini, la gestione dell’osteoporosi dovrebbe includere lo screening per il rischio di malattie cardiovascolari e respiratorie.

 

Fonte:

Irene Rodríguez-Gómez, Stuart R. Gray, Frederick K. Ho, Fanny Petermann-Rocha, Paul Welsh, John Cleland, Stamatina Iliodromiti, Ignacio Ara, Jill Pell, Naveed Sattar, Lyn D. Ferguson, Carlos Celis-Morales (2022). Osteoporosis and Its Association With Cardiovascular Disease, Respiratory Disease, and Cancer: Findings From the UK Biobank Prospective Cohort Study. Mayo Clinic Proceedings. 97(1), 110-121, ISSN 0025-6196. DOI: 10.1016/j.mayocp.2021.07.019.

 

BoneHealth | Il giornale del metabolismo osseo dicembre 2021

Il giornale del metabolismo osseo informa e aggiorna medici e operatori sanitari in tema di metabolismo osseo in chiave multidisciplinare.
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Metformina, effetti positivi sulla densità e contenuto minerale osseo

La metformina è un farmaco impiegato nel trattamento del diabete, in quanto riduce il peso e migliora la composizione corporea. Alcuni studi hanno suggerito che potrebbe avere un effetto positivo anche sul metabolismo osseo. Un sub-study del Copenhagen Insulin and Metformin Therapy trial, pubblicato su Osteoporosis International, ha studiato gli effetti della metformina sulla salute ossea, ottenendo esiti promettenti.

 

Metformina: obesità e salute ossea

L’obesità è un fattore di rischio per il diabete di tipo 2 e per lo sviluppo di fratture. In particolare, il grasso viscerale sembra avere un ruolo importante nella riduzione della BMD (Bone Mineral Density, densità minerale ossea) e della qualità ossea. La compromissione della salute ossea dovuta all’obesità potrebbe derivare dall’attività infiammatoria promossa dal tessuto lipidico.

La metformina, farmaco ipoglicemizzante, è associata a una riduzione del peso e a una sensibilizzazione all’insulina. Dalla letteratura emerge che questo medicinale ha un effetto positivo su massa magra e massa grassa e che potrebbe avere un effetto benefico sul metabolismo osseo. Ma le interazioni della metformina con la salute ossea non sono ancora state indagate.

 

Lo studio

La ricerca di Nordklint, Almdal e colleghi ha studiato gli effetti di un trattamento di metformina in combinazione con insulina della durata di 18 mesi, confrontandolo con un braccio insulina e placebo. A tale scopo, il gruppo di ricerca ha sfruttato i dati del trial Copenhagen Insulin and Metformin Therapy (CIMT), uno studio randomizzato in doppio cieco che ha incluso pazienti:

  • dai 30 anni in su;
  • con BMI (Body Mass Index) compreso tra 25 e 40 kg/m2;
  • con emoglobina glicata HbA1c ≥ 7,5% (≥ 58 mmol/mol);
  • trattati con farmaci antiiperglicemici da almeno un anno e/o con insulina da almeno 3 mesi.

Il sotto-studio ha considerato 183 pazienti nel gruppo metformina+insulina e 179 nel gruppo placebo+insulina. I ricercatori hanno valutato bone mineral content (BMC), densità minerale ossea (BMD) e composizione corporea. A tale scopo, hanno usufruito di una assorbimetria a raggi X a doppia energia (DXA) alla baseline e a distanza di 18 mesi. Il risultato è stato aggiustato per sesso, età, abitudine al fumo, assunzione di vitamina D, durata del diabete, BMI, HbA1c e dose di insulina.

I pazienti sotto metformina, rispetto agli altri partecipanti, nell’arco di 18 mesi hanno assunto meno peso e la loro percentuale di massa muscolare è diminuita in minore misura. Inoltre, rispetto al placebo, la metformina è risultata aumentare in modo statisticamente significativo BMC e BMD, anche se in piccola entità, soprattutto a livello delle ossa delle gambe, e ridurre questi parametri a livello delle braccia. In particolare, la metformina sembra avere un effetto sull’osso corticale e un piccolo o nullo effetto sull’osso trabecolare.

 

Metformina e salute ossea

Nella ricerca di Nordklint e colleghi, il trattamento con metformina ha comportato un minore aumento di peso, una migliore composizione corporea e un effetto positivo sulla qualità dell’osso rispetto al placebo. Questi cambiamenti non si spiegano con il solo effetto della metformina sul peso corporeo, quindi è possibile che questa molecola abbia un effetto diretto sui muscoli o sulla microarchitettura dell’osso. D’altronde, i meccanismi fisiologici di questa molecola sono ancora poco noti.

Occorrono studi che approfondiscano il tema, indagando un maggiore arco temporale e considerando altri aspetti relativi alla salute dell’osso, come il rischio di frattura. Tuttavia, i risultati di questa analisi suggeriscono che la metformina migliori la salute ossea: questo potrebbe avere importanti implicazioni cliniche.

Fonte:

Nordklint AK, Almdal TP, Vestergaard P, Lundby-Christensen L, Boesgaard TW, Breum L, Gade-Rasmussen B, Sneppen SB, Gluud C, Hemmingsen B, Perrild H, Madsbad S, Mathiesen ER, Tarnow L, Thorsteinsson B, Vestergaard H, Lund SS, Eiken P. Effect of metformin and insulin vs. placebo and insulin on whole body composition in overweight patients with type 2 diabetes: a randomized placebo-controlled trial. Osteoporos Int. 2021 Sep;32(9):1837-1848. doi: 10.1007/s00198-021-05870-1. Epub 2021 Feb 16. PMID: 33594488

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Gli effetti a lungo termine di metformina e interventi sullo stile di vita sulla salute delle ossa

La genetica dell’osteoporosi

Tipicamente, la fragilità ossea è associata alla riduzione della massa ossea o a difetti nella composizione o mineralizzazione della matrice. Tuttavia, alcuni meccanismi fisiologici che comportano l’osteoporosi, e in particolare l’osteoporosi primaria (quindi dovuta a patologie genetiche) non sono ancora del tutto noti. La conoscenza delle malattie genetiche che comportano osteoporosi primaria migliora sia la conoscenza e il trattamento delle specifiche condizioni sia, potenzialmente, le terapie per altre forme di fragilità ossea. Una review pubblicata sull’International Journal of Molecular Sciences descrive le cause genetiche dell’osteoporosi, per poterle indagare al meglio.

 

Osteoporosi primaria e secondaria

L’osteoporosi è considerata primaria se dovuta a una malattia genetica o secondaria se acquisita a causa di altre patologie o farmaci. In entrambi i casi, a provocarla può essere un’alterazione in una qualsiasi delle componenti della matrice ossea extracellulare:

  • Minerali;
  • Collagene e altre proteine;
  • Lipidi;
  • Acqua.

Nella maggior parte dei casi, l’osteoporosi è secondaria, ma è fondamentale conoscere anche le cause genetiche dell’osteoporosi. Infatti, spesso le malattie metaboliche rare condividono disfunzioni nei meccanismi fisiologici, come nel caso dei difetti della via di segnalazione RANK/RANKL, che accomuna malattia di Paget, sindrome di Hajdu-Cheney, displasia fibrosa e istiocitosi a cellule di Langerhans. Per questo studiare le cause genetiche dell’osteoporosi può portare a migliori e più mirate opportunità di trattamento per l’osteoporosi primaria ma anche per quella secondaria.

La genetica dell’osteoporosi

La ricerca medica ha individuato diverse condizioni di fragilità ossea monogenica, anche se sono ancora da indagare approfonditamente. In alcuni casi si osserva un effetto di dosaggio genico, per cui la maggiore presenza del gene ha un effetto diretto sul fenotipo.

Tra le cause genetiche dell’osteoporosi conosciute si annoverano:

  • mutazioni eterozigote nei geni COL1A1 o COL1A2, che codificano per il collagene di tipo I. Comportano l’85%-90% dei casi di osteogenesi imperfetta.
  • Mutazioni in un altro ventaglio di geni (ne sono stati identificati più di 20) coinvolti nell’elaborazione e modifica post-traslazionale del collagene di tipo I, nel controllo della differenziazione degli osteoblasti o nella funzione o formazione dei fasci di F-actina. Causano il 10-15% dei casi di osteogenesi imperfetta.
  • Difetti nelle vie di segnalazione WNT. Mutazioni di WNT1, implicato nel controllo della differenziazione degli osteoblasti, nello sviluppo e nel mantenimento dell’osso, possono provocare osteoporosi primaria in quanto si ha un’alterazione del turnover osseo. In omozigosi, sono responsabili di casi moderati e gravi di osteogenesi imperfetta, mentre in eterozigosi possono comportare fragilità ossea e ritardo nella crescita.
  • A livello del co-recettore LRP5, coinvolto nella regolazione degli osteoblasti, mutazioni bialleliche possono provocare la rara sindrome osteoporosi-pseudoglioma, e mutazioni monoalleliche possono portare osteoporosi autosomica dominante.
  • Difetti nella via di segnalazione del TGF-β, coinvolta nel controllo del metabolismo dei tessuti ossei e cartilaginei, sono associati alla sindrome di Marfan, alla malattia di Camurati-Englemann, alla sindrome di Loeys-Dietz e ad alcune forme di osteogenesi imperfetta. Queste alterazioni possono essere dovute, ad esempio, a mutazioni nel gene SMAD3.
  • Alterazioni della via RANKL/RANK/OPG, coinvolta nella formazione e l’attivazione degli osteoclasti. Delezioni in eterozigosi del gene TNFRSF11B comportano un turnover osseo elevato che conduce alla malattia di Paget (JPD); mutazioni in omozigosi del gene TNFRSF11A portano la forma familiare dell’osteolisi espansiva (FEO).
  • Mutazioni in eterozigosi nel gene NOTCH2 possono far sì che la proteina NOTCH2 risultante non possa più essere degradata: la sua conseguente sovra-attivazione conduce a un’aumentata osteoclastogenesi, da cui deriva la sindrome di Hajdu-Cheney (HCS).

Fonte:

El-Gazzar A, Högler W. Mechanisms of Bone Fragility: From Osteogenesis Imperfecta to Secondary Osteoporosis. Int J Mol Sci. 2021 Jan 10;22(2):625. doi: 10.3390/ijms22020625. PMID: 33435159; PMCID: PMC7826666.

Riflessioni di farmacoeconomia sull’osteoporosi, parla l’esperto

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In questa videointervista Giorgio Lorenzo Colombo, Dipartimento di Scienze del Farmaco, Università degli Studi di Pavia e Direttore Scientifico, S.A.V.E.- Studi Analisi Valutazioni Economiche, Milano ha analizzato gli aspetti di farmacoeconomia legati al caso osteoporosi, indicando nella prevenzione una opportunità sia dal punto di vista clinico che economico.

Osteoporosi, aspetti di farmacoeconomia

Nella videointervista si è parlato di:

  • Osteoporosi: impatto clinico ed economico della malattia
  • Dati nazionali di consumo e spesa farmaci per l’osteoporosi
  • Farmaco-utilizzazione: aderenza e compliance al trattamento
  • Costi e benefici della prevenzione

Con il contributo non condizionante di

Abiogen

Gli effetti a lungo termine di metformina e interventi sullo stile di vita sulla salute delle ossa

Dato che gli interventi sullo stile di vita e la metformina sono molto efficaci nel prevenire il diabete, è importante capire quali siano gli effetti di queste terapie sul lungo termine. Una ricerca pubblicata su Osteoporosis International da Schwartz, Pan e colleghi ha esaminato i risultati dello studio DPPOS (Diabetes Prevention Program Outcome Study) per indagare l’effetto degli interventi sullo stile di vita e della metformina, rispetto al placebo, in una coorte di persone ad alto rischio su un periodo di tempo di 16 anni. In particolare, ha verificato gli effetti di questi trattamenti sulla densità minerale ossea (BMD, bone mineral density).

 

Interventi sullo stile di vita, metformina e salute delle ossa

Da studi clinici randomizzati risulta che sia gli interventi sullo stile di vita (ILS) sia la metformina, farmaco ipoglicemizzante, riducono la progressione del diabete. Gli interventi sullo stile di vita risultano ridurre il peso dei pazienti in maggiore misura rispetto ai controlli e a chi assume metformina; la perdita di peso è associata a una riduzione della BMD, un fattore di rischio per le fratture ossee, che costituiscono un problema importante negli anziani. Studi pre-clinici, invece, suggeriscono che la metformina possa avere effetti positivi sulla salute ossea, contrastando l’effetto della perdita di peso. Gli effetti a lungo termine di ILS o della metformina sul BMD delle persone ad alto rischio di diabete non sono ancora noti.

Lo studio

Schwartz, Pan e colleghi hanno usufruito dei risultati dello studio DPPOS (Diabetes Prevention Program Outcome Study) per studiare l’effetto degli interventi sullo stile di vita e della metformina rispetto al placebo sul lungo termine. Dei 3234 partecipanti al DPP, 2779 hanno partecipato al DPPOS. Lo ILS era progettato perché i pazienti perdessero il 7% del peso attraverso 150 minuti settimanali si attività fisica moderata-intensa.

A distanza di 12 anni, 1367 partecipanti sono stati sottoposti ad assorbimetria a raggi X a doppia energia. I gruppi sottoposti a metformina o ILS sono stati comparati al placebo usando modelli di regressione lineare sesso-specifici e aggiustati per età, etnia, peso e controllo del peso alla baseline del DPP.

L’età media dei pazienti a 12 anni era di 66,5 (±9,5) anni. Solo gli uomini risultavano avere una differenza significativa nella perdita di peso, maggiore nel gruppo ILS. Sia nelle donne, sia negli uomini, il BMD del collo del femore è risultato simile tra i gruppi ILS e placebo, mentre è emerso essere più alto nel gruppo metformina rispetto al placebo, anche se non in modo statisticamente significativo. La prevalenza di osteoporosi (valutata con T-score ≤−2,5) era bassa e simile tra i sessi e i diversi gruppi.

 

Gli effetti a lungo termine di metformina e interventi sullo stile di vita sulla salute delle ossa

Secondo la ricerca di Schwartz, Pan e colleghi, un intervento a lungo termine con ILS non risulta ridurre la BMD, nemmeno nei pazienti con maggiore perdita di peso. Infatti, nonostante lo ILS inizialmente avesse ridotto il peso in misura maggiore che negli altri gruppi, a distanza di 16 anni c’è stato un recupero del peso, tranne che tra gli uomini. Tuttavia, anche i pazienti con maggior perdita di peso non avevano BMD significativamente inferiore. Questo potrebbe essere dovuto agli effetti positivi dell’attività fisica sulla BMD.

La metformina sembrerebbe addirittura comportare una maggiore BMD rispetto ai controlli, ma non in modo statisticamente significativo, per cui i potenziali effetti positivi della metformina devono essere ulteriormente indagati. In ogni caso, questa ricerca suggerisce che gli interventi sullo stile di vita e la metformina non incidono negativamente sulla BMD.

Fonte:

Schwartz AV, Pan Q, Aroda VR, Crandall JP, Kriska A, Piromalli C, Wallia A, Temprosa M, Florez H; Diabetes Prevention Program Research Group. Long-term effects of lifestyle and metformin interventions in DPP on bone density. Osteoporos Int. 2021 Nov;32(11):2279-2287. doi: 10.1007/s00198-021-05989-1. Epub 2021 Jun 4. PMID: 34086101

Il trattamento chirurgico dell’edema del midollo osseo del ginocchio

L’edema del midollo osseo è associato a diverse patologie ossee, come fratture, artrosi e infezioni. Per trattarlo, dove necessario, si impiegano due metodi chirurgici, la decompressione del nucleo (core decompression, CD) e la subcondroplastica (SCP). Ognuno è più indicato in alcuni pazienti, ma non esistono linee guida di riferimento su quali impiegare secondo le circostanze. Una meta analisi che ha incluso 18 studi (9 per ogni modalità di intervento) e un follow-up su 180 pazienti, pubblicata su Journal of Orthopaedics, ha riassunto le caratteristiche e le casistiche di questi interventi chirurgici nel trattamento dell’edema del midollo osseo nel ginocchio.

Sabato 22 gennaio si svolgerà il congresso
“Edema osseo del ginocchio. Strategie terapeutiche”
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L’edema del midollo osseo

L’edema del midollo osseo (BME, da Bone Marrow Edema) è un accumulo di liquido all’interno di una struttura ossea che comporta pressione intraossea alta. La sua patofisiologia non è ben nota. Il BME può derivare da infiltrazione di cellule infiammatorie, fibrosi, vascolarizzazione anomala, osteopenia e necrosi. Infatti, è associato a diverse condizioni cliniche, principalmente in anca, ginocchio, caviglia e articolazione del piede:

  • fratture e altre lesioni articolari;
  • osteoartrosi, in cui indica un peggioramento della condizione;
  • contusione acuta del legamento crociato anteriore;
  • infezione ossea (osteomielite);
  • cancro osseo;
  • lussazione dell’anca.

In base all’origine, l’edema del midollo osseo è anche noto con altri nomi, come lesione del midollo osseo, osteoporosi transiente, osteoporosi regionale migrante, contusione ossea. In genere è possibile diagnosticarla tramite imaging a risonanza magnetica, anche se non esistono linee guida in tal senso.

Il sintomo principale del BME è il dolore nella zona dove è presente. Anche per quanto riguarda il BME del ginocchio il dolore è il maggiore segno del disturbo, soprattutto quando il carico sulla giuntura è aggravato, ad esempio di notte. Talvolta, il paziente è asintomatico.

Il trattamento dell’edema del midollo osseo

La terapia per il BME può includere:

  • trattamento dei sintomi;
  • prostacicline;
  • bifosfonati;
  • vitamina D;
  • quando la terapia conservativa è poco efficace, trattamenti chirurgici mini-invasivi.

Le operazioni chirurgiche impiegate per il trattamento del BME sono la subcondroplastia (SCP) e la decompressione del nucleo (core decompression, CD). Finora non sono state redatte linee guida che indicano quando è preferibile l’una o l’altra strada. Ververidis, Paraskevopoulos e colleghi hanno riassunto quanto emerge dalla letteratura, con un focus sul BME del ginocchio.

Decompressione del nucleo nel ginocchio

Sotto guida fluoroscopica, gli specialisti impiegano un trocar ed eseguono un pressure stress test per valutare la pressione, che risulta positivo oltre i 30 mmHg o non scende sotto questo valore dopo 5 minuti. Quindi, il chirurgo esegue un’incisione femorale distale di 2,5 cm. Il perno viene fatto avanzare con cautela; quando la fresatura è terminata, il trocar viene rimosso e si chiude il sito.

Subcondroplastia del ginocchio

Prima dell’operazione si valuta il BME con studi di imaging. L’Osteoarthritis Knee Score scoring system (MOAKS) potrebbe aiutare nella quantificazione delle lesioni. I professionisti effettuano poi artroscopie standard in tre compartimenti del ginocchio (mediale, laterale, patello femorale) e iniettano calcio fosfato per valutare lo spazio intra articolare. Altri interventi di artroscopia possono consentire di rimuovere problemi concomitanti, ad esempio tramite drenaggio di cisti o sinoviectomia.

Una fluoroscopia consente di localizzare l’area di interesse prima di praticare l’incisione (di 2 centimetri). Quindi, il chirurgo inserisce una cannula fenestrata (11 × 120 mm) attraverso la quale si inserisce la siringa per l’iniezione del calcio fosfato (5-16 mL) una volta che la sua consistenza risulta viscosa. Va lasciato indurire circa 7-10 minuti. Dopodiché, un trocar viene infilato nella cannula per spingere il materiale residuo. Si continua l’iniezione di calcio fosfato finché nell’immagine fluoroscopica l’area di interesse non si scurisce. Quindi, si estrae la cannula e si chiude. A questo punto si può effettuare un’artroscopia per rimuovere eventuali frammenti di calcio fosfato.

Il trattamento chirurgico dell’edema del midollo osseo del ginocchio

La chirurgia è una soluzione rapida per il sollievo del dolore. Spesso, già l’esecuzione di un foro nel midollo osseo risulta ridurre il dolore, suggerendo che la pressione intraossea alta comporti lo stimolo doloroso. Dall’indagine di follow-up di Ververidis e colleghi, 166 pazienti su 180 (92,2%) risultano avere avuto ottimi risultati dai loro trattamenti chirurgici per il BME. Di questi, 29 erano stati trattati con CD (il 100% degli intervistati sottoposto a questa operazione) e 137 (il 90,7%) con SCP.

Anche se questo studio presenta alcune limitazioni, come il basso numero di pazienti di alcune ricerche di riferimento per la meta-analisi e l’eterogeneità dei metodi impiegati, sembra che le due tecniche possano essere equivalenti in termini di efficacia. Emerge chiaramente la necessità di svolgere studi ad hoc per poter trattare i pazienti e i loro specifici casi nel modo ottimale.

Fonte:

Ververidis AN, Paraskevopoulos K, Tilkeridis K, Riziotis G, Tottas S, Drosos GI. Surgical modalities for the management of bone marrow edema of the knee joint. J Orthop. 2019 Aug 15;17:30-37. doi: 10.1016/j.jor.2019.08.025. PMID: 31879470; PMCID: PMC69193.

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Osteoporosi e aderenza al trattamento, parla l’esperto

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La formulazione di alendronato effervescente tamponato migliora la persistenza al trattamento nei pazienti con osteoporosi. BoneHealth ne ha discusso insieme ad Andrea Giusti, Geriatra, Dirigente medico SC di Reumatologia, ASL 3 Genovese.

Alendronato effervescente tamponato

Nella videointervista l’esperto affronta la tematica dell’aderenza e presenta i risultati dello studio caso-controllo condotto da lui e dal suo team. “I risultati che abbiamo raccolto – spiega – mostrano come l’utilizzo della forma farmaceutica di alendronato effervescente tamponato abbia portato ad una aderenza alla terapia molto più alta rispetto ai pazienti trattati con compresse di alendronato”.

Aderenza

Nel corso dello studio, infatti, la persistenza al trattamento a 6 e 12 mesi è stata riscontrata rispettivamente nel 91% e 81% dei partecipanti del gruppo con formulazione effervescente rispetto al 75% e 69% di quelli che hanno assunto la formulazione in compresse e tale differenza si è mantenuta più o meno simile fino alla fine del periodo dello studio (12 mesi).

Costo-efficacia

Nella videointervista Giusti affronta anche il tema dei costi, con una riflessione di costo-efficacia.

Con il contributo non condizionante di

Abiogen

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Sondaggio europeo sulla digitalizzazione del lavoro dei medici

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A settembre Mediately ha condotto il sondaggio Digital Doctor 2021 coinvolgendo quasi 6.000 medici. Il sondaggio si è svolto in otto Paesi europei che usano l’app Mediately: Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Italia, Serbia, Slovacchia, Slovenia e Romania.

Digital Doctor 2021

Gli obiettivi del Digital Doctor 2021 erano i seguenti:

  • determinare quale sia l’approccio dei medici alle tecnologie digitali
  • valutare l’impatto delle nuove tecnologie sul loro lavoro
  • conoscere i canali di comunicazione usati più frequentemente.

Insomma, il sondaggio si proponeva di scoprire come si sentono i medici nel loro ambiente di lavoro, quali sono i loro problemi, com’è avvenuto il passaggio alla telemedicina, quali cambiamenti ci sono stati nella cura dei pazienti, negli incontri con i colleghi e nella scelta dei canali di informazione. Questi argomenti sono state riassunti in 21 domande.

Digital Doctor 2021 è stato uno dei sondaggi più grandi del suo genere nel mondo. Ecco qualche dato riassuntivo:

  • 5.782 risposte;
  • 60% dei partecipanti con meno di 45 anni;
  • 52% donne, 48% uomini;
  • 36% specializzandi, 63% medici specialisti;
  • la medicina generale è stata la specialità più rappresentata con 700 risposte;
  • Il maggior numero di medici intervistati proveniva da Serbia (1.448), Romania (1.333) e Italia (1.269).

In generale, la maggior parte dei partecipanti ha segnalato di essere meno soddisfatti del loro lavoro rispetto all’anno precedente o ugualmente soddisfatti. L’Italia, tuttavia, è in controtendenza, con un 2% di soddisfatti in più rispetto al sondaggio 2020. Il sovraccarico di lavoro rimane la preoccupazione più diffusa: lo cita il 69% dei medici intervistati. I due terzi dei medici si dicono però ottimisti riguardo al futuro, il 67% in media e il 65% in Italia.

Pandemia e telemedicina

Una delle ragioni dell’ottimismo è la crescita dell’utilizzo e dell’apprezzamento della medicina a distanza. Il suo sviluppo è stato accelerato, negli ultimi due anni, dall’impatto della pandemia che ha creato un vero e proprio esperimento sul potenziale della telemedicina. I medici si sono trovati costretti a lavorare a distanza, e questa modalità di lavoro è diventata per loro uno strumento indispensabile. Secondo un sondaggio, nell’ultimo anno un terzo di tutti gli specialisti ha diagnosticato più del 10% dei loro pazienti a distanza. L’Italia è in testa alla classifica, con la metà di tutti i medici italiani che svolgono regolarmente diagnosi a distanza.

L’Italia è anche tra i Paesi in cui una percentuale maggiore dei medici intervistati si dice intenzionato ad aumentare la comunicazione a distanza con i pazienti: lo afferma il 64%, 10 punti percentuali in più rispetto alla media del sondaggio. Anche gli altri Paesi con più esperienza nella telemedicina hanno intenzione di accrescere ulteriormente il ricorso a questa pratica in futuro.

Negli ultimi due anni, la telemedicina è stata più utile ai pazienti che ai medici. Prima della
razionalizzazione del processo di utilizzo della telemedicina, essa veniva usata raramente dai medici, ma abbiamo scoperto che funziona bene anche in termini di qualità clinica. Affinché funzioni davvero, deve essere allineata alla pratica clinica. La telemedicina potrebbe diventare una parte fondamentale della tecnologia se gli aspetti legali e clinici fossero ben regolati

Victor Savevski, esperto in tecnologia sanitaria digitale

La telemedicina non dovrebbe mai sostituire le visite e gli esami faccia a faccia. Tuttavia, usata in modo appropriato, questa pratica sta già diventando una parte inevitabile del processo di gestione e trattamento dei pazienti: un’evoluzione rispetto alla quale non si può tornare indietro.

Informazione e formazione

Trovare fonti di informazione affidabili non è un lavoro facile per i professionisti sanitari o per i medici. Dal sondaggio Digital Doctor 2021 risulta che i medici scelgono più spesso le app mediche mobili come fonte di informazioni, seguite a stretto giro dalle riviste a stampa e online, mentre al terzo posto si posizionano i siti web delle associazioni mediche. Nel complesso, l’indipendenza e l’affidabilità delle informazioni sono i fattori chiave nella scelta del canale di informazione.

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Anche per quanto riguarda gli eventi di formazione, la preferenza va decisamente verso gli eventi ibridi: il 46% preferisce esperienze che combinino l’online e l’offline. La formazione accreditata online e i webinar sono usati in modo appropriato rispettivamente secondo il 60 e il 66% dei rispondenti, mentre rispettivamente il 33% e il 15% vorrebbero che questi strumenti fossero più diffusi. Il 70% sceglie un corso di formazione per interesse verso l’argomento, mentre il 67% è spinto anche dalla rapidità e comodità della formazione a distanza. Solo il 44% ammette che siano i crediti formativi a determinare la scelta di un corso.

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ELMO1, osteoporosi e artrite reumatoide

Osteoporosi e artrite reumatoide sono molto studiate, ma ancora non del tutto conosciute. In particolare, i meccanismi fisiologici alla base della loro comparsa sono da chiarire. Capirli a fondo, infatti, consentirebbe di elaborare nuove terapie. Sempre più studi stanno indagando il ruolo della proteina ELMO1 in osteoporosi e artrite reumatoide. Anche se da confermare, i risultati di queste ricerche mostrano che ELMO1 agirebbe su alcune molecole coinvolte nella regolazione dell’attività degli osteoclasti, promuovendo la perdita ossea.

La proteina ELMO1

La proteina ELMO1 (Engulfment and Cell Motility), prodotta dal gene Elmo1, è coinvolta nei riarrangiamento del citoscheletro alla base della migrazione cellulare e della fagocitosi delle cellule apoptotiche. Alterazioni di Elmo1 o della sua espressione risultano correlate a diversi disturbi, come la nefropatia diabetica, la diffusione dei gliomi e alcune infiammazioni. Studi recenti mostrano che ELMO1 sarebbe associata anche all’insorgenza di osteoporosi e artrite reumatoide. Infatti, questa proteina avrebbe un ruolo nella migrazione dei neutrofili all’interno delle giunture e sembra promuovere la perdita ossea.

 

Artrite reumatoide e osteoporosi

La perdita ossea comporta due disturbi molto diffusi tra gli esseri umani, con un rischio che aumenta con l’avanzare dell’età: osteoporosi (che colpisce oltre 200 milioni di persone, soprattutto le donne) e artrite reumatoide (infiammazione cronica di cui soffrono circa 7 milioni di persone). I meccanismi fisiologici coinvolti nello sviluppo di queste due patologie sono numerosi, ma non sono del tutto noti. La scoperta di nuovi attori potrebbe aiutare a trovare trattamenti o cure migliori. In particolare, sempre più studi sostengono che potrebbe essere efficace agire sull’attività degli osteoclasti.

 

ELMO1, osteoporosi e artrite reumatoide

Un esame dei database pubblici ha rivelato che negli esseri umani ELMO1 sarebbe associato alla perdita ossea. Infatti, polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) dei geni di ELMO1 e altre due proteine che mediano la riorganizzazione del citoscheletro, DOCK2 e RAC1, sono correlati positivamente ad anomalie delle ossa e delle giunture.

Dal momento che l’osteoporosi è spesso indotta da una maggiore attività degli osteoclasti, è possibile che la modalità di azione della proteina ELMO1 consista nella regolazione della funzione degli osteoclasti. Questa ipotesi trova riscontro in diversi studi su modelli murini, in cui i ricercatori hanno osservato che:

  • ELMO1 promuove la perdita ossea nell’osteoporosi;
  • ELMO1 aumenta la perdita ossea nell’artrite reumatoide;
  • la delezione del gene Elmo1 diminuisce la perdita ossea nell’artrite reumatoide.

Dalle analisi in vitro, la proteina ELMO1 risulta promuovere l’attività di riassorbimento degli osteoclasti. Gli studi, infatti, mostrano che ELMO1 promuove la polimerizzazione dell’actina durante l’azione demineralizzante degli osteoclasti legati alle superfici ossee. L’inibizione della proteina, invece, sembra ridurre il riassorbimento della matrice ossea. Queste regolazioni sembrerebbero avvenire tramite l’influenza di ELMO1 su altre molecole coinvolte nella segnalazione cellulare che regola la funzione di riassorbimento degli osteoclasti. I ricercatori, infatti, hanno riscontrato un’influenza di ELMO1 su CD44, GPNMB, SIRPα, LRP1, alcune subunità del complesso della vATPasi e alcune subunità di complessi che regolano la polarità e il pH delle cellule.

Fonte:

Arandjelovic, S., Perry, J.S.A., Zhou, M. et al. ELMO1 signaling is a promoter of osteoclast function and bone loss. Nat Commun 12, 4974 (2021). DOI: 10.1038/s41467-021-25239-6

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