venerdì, Aprile 26, 2024
SpecialitàurologiaBlocco androgenico e salute ossea nel carcinoma prostatico localmente avanzato

Blocco androgenico e salute ossea nel carcinoma prostatico localmente avanzato

Nel corso del convegno BoneHealth 2022, il dottor Vela ha riepilogato la letteratura sulla deprivazione androgenica e la gestione dei suoi effetti sulla salute dell’osso

La deprivazione androgenica è una terapia molto efficace nel carcinoma prostatico, che può però aumentare il riassorbimento osseo e quindi il rischio di fratture nei pazienti. Questa terapia è stata oggetto di un intervento del dottor Vela, in vece di Gherardo Mazziotti, Professore Associato di Endocrinologia (Dipartimento di Scienze Biomediche Humanitas Clinical and Research Center IRCCS, Rozzano) nel corso del congresso BoneHealth Gestione integrata della salute dell’osso in specifici setting clinici”. In particolare, lo specialista ha riepilogato la letteratura in merito al blocco androgenico e la salute ossea, riassumendo le ricerche in merito ai metodi per gestire al meglio i pazienti sottoposti a questa terapia.

 

Il blocco androgenico

La deprivazione androgenica (o blocco androgenico) è tra i trattamenti più usati contro il carcinoma prostatico, sia nel setting localmente avanzato, sia in caso di progressione. Gli schemi terapeutici possono variare tra periodi brevi e intermittenti fino a periodi prolungati che raggiungono i 36 mesi.

 

Il vantaggio in termini di sopravvivenza che questo tipo di terapia ha indotto nella gestione del carcinoma prostatico rende questa terapia fondamentale, quindi dobbiamo imparare a gestire le conseguenze a lungo termine.

 

Blocco androgenico e salute ossea

Il blocco ormonale può essere utilizzato a livello centrale, quindi con meccanismo di agonismo-antagonismo sul GnRH, o periferico, mediante molecole che bloccano la steroidogenesi a livello surrenalico o gonadico. In questo modo contrasta l’attività androgenica, con un conseguente crollo della produzione di estrogeni che induce:

  • aumentata attività metabolica degli osteoclasti;
  • ridotta attività degli osteoblasti.

In questo modo, il blocco androgenico comporta un aumentato riassorbimento osseo e il conseguente rischio fratturativo. Questo si manifesta probabilmente in modo precoce, infatti la perdita di BMD raggiunge un tasso di 4,6% l’anno, ovvero fino a circa 10 volte la perdita normale.

la perdita nel primo anno indica quanto sia necessario intervenire.

 

Chi va trattato?

Secondo le linee guida dell’ASCO (American Society of Clinical Oncology), c’è una distinzione chiara tra chi debba essere sottoposto a trattamento

  • FRAX: se maggiore del 3% all’anca o al 20% per tutte le fratture;
  • BMD (Bone Mineral Density) che mostra significativa ostopenia;
  • presenza di fattori di rischio: il principale è la presenza di fratture pregresse.

Una recente consensus pubblicata sul Journal of Bone Oncology suggerisce di utilizzare la terapia ADT per abbassare la soglia di intervento, anche se spesso non è efficiente. AIO 2021 (ma già proposto nel 2013): è possibile, in Italia, trattare questi pazienti. Sulla base del basso valore predittivo di salute scheletrica della BMD, in Italia si suggerisce che si possano trattare i pazienti up-front. La nota 79 garantisce l’uso dei farmaci antiriassorbitivi.

 

Stratificare il rischio di fratture nei pazienti sotto deprivazione androgenica

Basandosi solo sulla BMD si può misclassificare, quindi sbagliare categorizzazione di questi pazienti, fino al 90% dei casi.

L’imaging a risonanza magnetica (MRI) ad alta risoluzione mostra indici di erosione molto diversi a parità di T-score a livello della colonna vertebrale. Quindi, occorre avere un approccio morfometrico per valutare e classificare le fratture vertebrali, che hanno un impatto predittivo su successive fratture, anche non vertebrali laddove moderate o severe (“effetto domino”).

Un lavoro recentemente pubblicato sul Journal of Bone Oncology ha indagato la prevalenza di fratture tra pazienti in deprivazione androgenica. In particolare, la ricerca ha consentito di individuare una prevalenza di fratture vertebrali del 45,9% nella popolazione maschile, contro solo l’11,2% di diagnosi. I fattori determinanti sono risultati essere:

  • GnRH più abiraterone;
  • bassa BMD (ma valutando cut-off -1 all’ingresso dell’osteopenia, nemmeno significativa secondo le linee guida);
  • BMI > 25. Probabilmente non consideriamo il ruolo del cambiamento della composizione corporea: la perdita di massa muscolare e la conseguente alterazione del suo cross-talk con l’osso.

Uno studio del 2019 guidato dal Professor Berruti ha mostrato il paradosso della deprivazione androgenica: l’aumentato grasso corporeo come predittore solo nel gruppo di donne trattate con aromatasi. Potrebbero esservi meccanismi analoghi negli uomini sotto blocco androgenico.

 

Trattamento per la fragilità ossea in caso di blocco androgenico

Come per la popolazione femminile, alcuni studi hanno valutato la possibilità di mantenere BMD, soprattutto tramite bifosfonati. Tuttavia, i dosaggi valutati sono soltanto oncologici e non antiosteoporotici, eccetto che per il denosumab.

Denosumab e acido zoledronico sono i trattamenti antiriassorbitivi che hanno maggiori evidenze a carico. Lo zoledronato risulta aumentare la BMD a livello lombare, mentre, in 3 studi, il denosumab ha mostrato efficacia nella riduzione di rischio di frattura nei pazienti, e in particolare riesce a ridurre il rischio di caduta in modo significativo nei pazienti sotto i 75 anni, forse in modo indiretto perché influisce a livello muscolare.

 

Conclusioni

In conclusione, BMD e FRAX non sono predittivi di fattura e la morfometria attiva è fondamentale per trovare le fratture quando non sono evidenti, ovvero nel 50% dei casi. Per quanto riguarda il trattamento, sono necessarie maggiori indagini sulle molecole da sfruttare. In ogni caso, la migliore soluzione per affrontare il blocco androgenico e i suoi effetti sulla salute ossea è promuovere un approccio multidisciplinare.

 

 

Fonte: congresso BoneHealth 2022

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